Palocco, Santoprete e la vetta inaspettata: “Vogliamo inseguire il nostro folle sogno fino alla fine”

Palocco, Santoprete e la vetta inaspettata: “Vogliamo inseguire il nostro folle sogno fino alla fine”

In un torneo come il Girone C di Promozione, dove tutti o quasi gli addetti ai lavori profetizzavano una marcia senza ostacoli del Nettuno, il girone d’andata ha via via modificato l’opinione comune, spostando l’attenzione sullo splendido percorso del Palocco.

La formazione romana, che al pari dei verdazzurri di Panicci dovrà recuperare una gara alla ripresa dei campionati, gioca divertendosi e, cosa che non guasta, vince, come dimostrano i numeri che la incoronano attualmente come unica squadra imbattuta in categoria al pari del Monte San Biagio, militante nel Girone E.

Un rendimento da applausi e di cui parte del merito va senza dubbio attribuita al suo tecnico, Pietro Santoprete, già attaccante di chiarissima fama del nostro calcio a cavallo tra la fine degli anni novanta ed i primi duemila, che si sta dimostrando altrettanto abile e capace in panchina.

Tornato in plancia di comando a stagione già cominciata, l’ex attaccante di Acilia e Civitacastellana ma con trascorsi anche nel Parma degli anni d’oro di Nevio Scala, sta vivendo con i suoi giocatori una stagione esaltante.

 

Mister, nessuno aveva inserito il Palocco tra le favorite del torneo ad inizio stagione.

State facendo qualcosa di enorme, te lo aspettavi?

“Ho preso questo gruppo in corsa dopo le prime tre giornate di campionato ed all’inizio non pensavamo davvero di poter stare lassù.

Che posso dire?

Viviamo alla giornata e senza pressioni, anche se poi l’appetito vien mangiando e adesso proviamo a rincorrere il nostro folle sogno…

Con i ragazzi l’alchimia è nata subito, del resto con molti di loro avevo già concluso la stagione l’anno prima e addirittura con qualcuno avevo anche giocato nella fase finale della mia carriera da calciatore.

Devo dire che sono stati bravissimi tutti, dai più grandi ai più piccoli.

Io sto solo provando a metterci del mio, consapevole che il calcio, con le sue mille sfaccettature positive e negative, resta sempre un gioco e se lo interpreti con gioia sa regalarti delle emozioni inaspettate.

Rispetto a quando giocavo, allenare è tutt’altra cosa: per stare in panchina, devi compiere uno step a livello mentale, poi deve essere un processo graduale ed è importantissimo seguire i vari passaggi, cominciando dal fare il collaboratore tecnico e poi l’allenatore in seconda.

Questo ti aiuta a non perdere di vista le tue convinzioni.

Per me l’allenatore perfetto è quello che sa porsi lui per primo delle domande, che riesce a migliorare se stesso ed i suoi giocatori sotto l’aspetto della personalità e del coraggio e che riesce a divertirsi con i propri giocatori”.

Quando avete capito che in questo torneo avreste potuto ritagliarvi un ruolo diverso rispetto a quello delle semplici comparse?

“Un vero e proprio momento no, però ci siamo resi conto che nell’arco delle partite abbiamo vissuto un miglioramento psicofisico, ognuno ha la sua personalità, allenatore deve tirargliela fuori.

Pian piano vedevamo che c’erano dei passi in avanti, siamo consapevoli che nostra forza è non pensarci ma giocare divertendoci e sentendoci tutti importanti in egual misura”.

Prima dello stop avete fatto in tempo a segnare quattro reti ad una Virtus Ardea che veniva da un ottimo periodo.

L’interruzione non ci voleva proprio.

Da allenatore come si fa a gestire un momento di sospensione come questo?

“Non pensandoci, ma continuando a venire al campo per divertirsi.

Loro sono ragazzi che si conoscono da una vita, ormai è come se fossero una famiglia.

Tra di loro non c’è mai stato uno screzio, se gioca uno oppure un altro”.

Pietro, tu sei stato un grandissimo attaccante.

Quale elemento ti ha portato a vivere la tua seconda vita calcistica in panchina?

“Quando ti rendi conto di essere arrivato al della tua carriera, non sai mai bene cosa fare.

Alla fine, credo che sia il percorso che hai vissuto a decidere per te.

Volevo provare a trasmettere quello che mi hanno insegnato i tanti grandi allenatori che ho avuto la fortuna di conoscere”.

Tra i tanti avuti ce n’è uno che ricordi con particolare affetto?

“Mi ritengo un privilegiato, perché ho avuto la fortuna di giocare a Parma negli anni in cui in Emilia cominciava il ciclo di Nevio Scala, giocando con la Primavera e potendo allenarmi anche con la prima squadra.

Sono stati anni bellissimi e molto importanti, perché a Parma ho incontrato allenatori che ti insegnavano veramente a giocare a calcio ed ognuno di loro mi ha lasciato in dote qualcosa.

All’inizio non fu facile, perché scaldai la panchina per sei mesi, ma ogni volta che non giocavo mi veniva sempre data una motivazione e questo per un calciatore è basilare.

Scala per me fu come un papà e lo ricordo sempre con affetto.

Per fortuna comunque ho spesso incontrato tecnici che credevano in me.

Nel corso della mia vita ho incontrato allenatori di ogni tipo, spesso con ideologie calcistiche opposte, ma alla fine ho compreso che è importante assorbire tutto ciò che ti viene trasmesso.

Sia nel bene che nel male”.

Al netto di come finirà il campionato, quale obiettivo eventualmente raggiunto ti renderà veramente soddisfatto al termine della stagione?

“Sarò sincero: come dicevo prima, il mio obiettivo principale è far divertire i ragazzi e la mia vittoria resta quella di migliorarli.

Se poi dovesse arrivare una certa ciliegina, non ci tireremo indietro”.