Generazione ’80, quelli che (ancora) comandano

Generazione ’80, quelli che (ancora) comandano

Cuffa

Di Alessandro Bastianelli.

E’ successo spesso nel corso della stagione, e questo weekend ne abbiamo avuto un’ulteriore prova: i giocatori nati nei primi anni ’80 sono ancora decisivi. Soprattutto, sono ancora i più forti, almeno in Serie D.

Sembra non passare mai il tempo per una certa generazione. La Generazione 80, chiamiamola così: quella nata a cavallo fra gli anni di piombo e quelli del benessere economico, fra un film di De Sica e Boldi e gli ultimi residui della lotta politica.

Antonino D'Agostino
Antonino D’Agostino

Quella generazione cresciuta sui campi d’erba degli anni ’80 e ’90, che non si faceva problemi a scendere nel fango, lontani nel tempo dalle comodità di sintetici, scarpini su misura da 200 Euro, incurante dei capelli impomatati e degli abiti firmati.

Quella cresciuta dai Volfango Patarca, dai Bruno Conti, quella importata in Italia dagli ultimi osservatori degni di quel nome, prima della damnatio sacrorum dell’avvento dei procuratori, o supposti tali.

Ed è così che lo SFF Atletico, squadra dotata di valori importanti e di un ottimo gioco, si è dovuto arrendere nell’anticipo di sabato alle magie di un vecchietto niente male come Antonino D’Agostino. Nato nel ’78, cresciuto e vissuto come ala destra fra i ’90 e i 2000 con le maglie di Pro Vercelli, Treviso (in B) Atalanta e Cagliari (in A), da 5 anni è tornato a casa e gioca nel Tortolì, di cui è capitano e cervello. Prima regista, poi libero, D’Agostino ha abbassato il baricentro sì per risparmiare fiato, comprensibilmente, ma anche perché il suo Tortolì non può fare a meno della sua lucidità e capacità di impostazione.

Sotto di uno a zero contro l’Atletico, mister Perra lo ha messo nella posizione di un tempo. La mossa della disperazione, ma che ha fatto emozionare e correre D’Agostino, che con due giocate da urlo (in particolare lo stop a seguire del 2 – 1) ha propiziato i gol di Manca e Meloni, consentendo al Tortolì di agguantare una vittoria insperata, ma meritatissima.

E domenica? C’è stata Trastevere – Rieti. Partita di alto livello, con ritmo, aggressività e intensità di altra categoria. Merito di tutti gli attori in campo, certamente, fra cui vi erano i Lorusso, i Giunta e i Riccucci, giovani di cui spesso parliamo bene con merito.

Stefano Scardala
Stefano Scardala

Ma sfido chiunque è andato allo Stadium ieri a non esser rimasto affascinato da Mati Cuffa. Un guerriero, un vero argentino capace di unire garra e qualità, e di indirizzare la gara tenendo praticamente da solo il centrocampo, muovendo Luciani, Giunta e Scevola quasi fossero le pedine di uno scacchista.

Un giocatore straordinario, che a 37 anni (appena compiuti) si sta confermando come il centrocampista più forte del campionato. Non accontentandosi di una carriera che gli ha dato in dote 144 presenze in Serie B e svariati campionati vinti fra C2 e D. Furbo, scaltro, carismatico, eloquente con arbitri e avversari, gli basta uno sguardo per far tacere qualche avversario un po’ troppo energico nelle proteste. Tocca il pallone accarezzandolo, come si fa con un’amante, mancando raramente il punto G.

Dietro di lui, le chiavi della difesa le teneva Stefano Scardala, uno dei difensori più forti che il Lazio abbia prodotto negli ultimi venti anni. Un altro che non si accontenta, a 37 anni, di aver disputato qualcosa come 500 partite in carriera fra C e D. Uno che magari non lo vedi perché pensa più velocemente degli altri, arrivando prima dove occorre, con quell’eleganza appresa scivolando sui campi d’erba naturale.

Marco Paolacci
Marco Paolacci

Dall’altra parte c’ha pensato un classe ’84 a far esultare il Trastevere. Marco Neri, un fuoriclasse tascabile, giocatore dalla tecnica individuale straordinaria, degna forse della Serie A. A cui gli infortuni e gli incroci del destino hanno negato platee più importanti. Un umile, uno che accetta tranquillamente la panchina perché sa che, in quei venti minuti finali, può e deve fare ancora la differenza.

E domenica lo ha fatto, entrando e portando con un piattone al volo un altro punto importante al Trastevere con uno dei suoi guizzi finali. Come all’andata, come a Monterosi, come a inizio campionato con San Teodoro e Albalonga.

Questo quanto avvenuto questo week end, ma l’importanza della Generazione 80 è una costante settimanale in Serie D. Che dire dello splendido gol di Pintori (classe ’80) domenica scorsa contro il San Teodoro? O della solidità di Paolacci e Panini, 67 anni in due, che hanno reso l’Albalonga la miglior difesa del campionato?

A San Teodoro invece hanno investito un quarantenne, Giorgio La Vista, di tutte le speranze salvezza. Uno che sembra ancora un ragazzino per come corre e per la lucidità con cui imposta. Ma l’elenco è lunghissimo, e passa per i nomi di Nohman (Albalonga), Piva (Lupa Roma), Demartis (Latte Dolce),  e tanti altri.

Giorgio La Vista con la fascia da capitano de L'Aquila
Giorgio La Vista con la fascia da capitano de L’Aquila

Questi sono i nostri vecchietti, e guai a chi ce li tocca. Pensate a quanti invece ne abbiamo persi per strada per via della regola degli under, che riserva quattro posti obbligatori agli U20. Ma siamo davvero sicuri che togliere i vecchietti per regolamento sia la soluzione ai problemi di un calcio che, anno dopo anno, va sempre più in declino?

Sono i numeri a dirci di no, perché la maggior parte dei giocatori decisivi che girano è nata fra il 1980 e il 1988. Con buona pace della generazione X, quella fra il 1989 e il 1994, che ha visto tanti ragazzi smettere, alimentati dalle illusioni della regola degli under, la stessa che poi li ha costretti a smettere. Sarebbe bene tenerlo a mente.