Colleferro, Alessandri non ha dubbi: “Questo club si prepara a vivere un’epoca d’oro”

Colleferro, Alessandri non ha dubbi: “Questo club si prepara a vivere un’epoca d’oro”

Carlo Alessandri è universalmente noto nel nostro ambiente per esserne uno dei protagonisti più intelligenti, benvoluti e, consentitecelo, più evoluti sotto il profilo culturale.

L’estremo difensore del Colleferro ha appena concluso una stagione particolarmente dura con una salvezza ai play-out che ha ripagato il club rossonero ed i suoi calorosi tifosi delle difficoltà patite nei mesi precedenti ed il bilancio finale rappresenta la ghiotta occasione per una lunga conversazione a cuore aperto che tocca numerose tematiche.

 

 

Sono trascorsi appena dieci giorni dalla pazza gioia del play-out vinto ad Arce.

Quale cartolina ti è rimasta impresa nella mente?

“In realtà, mi sono rimaste stampate nella mente un paio di immagini un po’ sui generis.

La prima è la sensibilità di Simone Abbondanza.

In occasione della rete del vantaggio dell’Arce, mi sono fatto male ad una gamba ed avevo davvero paura di aver subito un brutto infortunio.

Lui è stato con me a consolarmi mentre ero in lacrime e questo non lo dimentico, perché gesti come il suo rimettono al centro valori che con il tempo si sono dispersi in maniera tangibile, riuscendo a colorare di rispetto un frangente delicato.

La seconda è legata ad un siparietto che inizialmente non avevo capito: assorbita la botta, ho stretto i denti e sono rimasto al mio posto tra i pali, ma ad un certo punto vedo Tornatore e mister Staffa organizzare il mio cambio.

Io volevo restare in campo, ma solo dopo ho capito che la sostituzione era legata ad una mossa, spericolata ma intelligente, di giocare con quattro punte nonostante fossimo rimasti in dieci.

Un’idea azzeccata e faccio i complimenti anche a Cifra che, subito dopo essere entrato, si è reso protagonista di una grandissima parata”.

Pur dotato di elementi di grande esperienza e qualità nella sua rosa, ad un certo punto la stagione del Colleferro si è complicata terribilmente.

Secondo te, cosa non ha funzionato a dovere nella prima parte della stagione?

“Innanzitutto, credo vada rivolto un sincero plauso alla società, che ha dimostrato grande intelligenza, generosità e capacità nel porre rimedio ad una situazione che si era fatta decisamente scomoda sotto il profilo ambientale per tutta una serie di fattori.

Credo sia stato determinante l’apporto dei giocatori di maggior esperienza e mi piace sottolineare che fino alla partita con il Gaeta, quando io e Simone Calabresi siamo stati accantonati, avevamo la terza miglior difesa dell’intera categoria.

Purtroppo alcuni tra i ragazzi di Colleferro non sono riusciti a reggere le pressioni emotive e per un certo periodo le cose non sono andate bene.

Sono dell’opinione che il confronto sia un elemento basilare e dia sempre impulso alla crescita degli individui.

Laddove non nasce dibattito interno, per me si genera semplicemente un assolo di tanti protagonisti e non un lavoro finalizzato a far gioire una piazza straordinaria come questa.

Per fortuna, l’arrivo di mister Staffa ha riportato pragmatismo.

Secondo me, prima c’erano delle proposte che non riuscivano a collimare con le finalità della categoria.

Alla conta dei fatti, comunque, il nostro bicchiere è strapieno e sono convinto che in questa stagione, che rappresentava una sorta di anno zero, il club abbia gettato le basi per costruire qualcosa di importante”.

Nella fase finale del campionato avete centrato una serie significativa di risultati significativi.

A tuo giudizio, qual è stata la molla che vi ha fatto invertire la tendenza?

“Spero di non peccare di immodestia, ma io credo che uno dei fattori determinanti sia stato il ritorno in campo mio e di Simone (Calabresi, ndr) in occasione del match di Ferentino.

La squadra ha avuto il merito di comprendere che non era più tempo di ragionare come prima, perché sarebbe stato controproducente e la barca non sarebbe tornata in porto.

Tutti noi ci trovavamo sospesi su una sottile linea rossa tra autolesionismo e recupero di certi valori.

Staffa, che ritengo un signore del nostro calcio, ha portato equilibrio, rimettendoci tutti con i piedi per terra.

Non ha usato scienza, ma coscienza di cosa sia il Campionato di Eccellenza, restituendo valore agli uomini”.

Nel corso degli anni hai giocato in grandi piazze.

Gli sforzi e la serietà del club rossonero, uniti alla rinnovata e crescente passione dei tifosi verso la squadra, inducono a pensare che l’avvenire sia roseo…

“Lo confesso.

Quando il Colleferro mi ha contattato la scorsa estate, sono andato in sede a parlare più per una forma di doverosa cortesia che per una reale convinzione.

Appena ho varcato il cancello d’ingresso del Caslini, però, ho avvertito dentro di me qualcosa di magico che ha riportato a galla le sensazioni speciali che provavo ai tempi del mio Monterotondo.

La società mi ha fatto sentire immediatamente importante ed entrambi abbiamo fatto uno sforzo per venirci incontro e dare un valore alle rispettive esigenze.

Colleferro mi ha fatto respirare tutti i crismi del calcio a cui in passato ero abituato.

La dirigenza è composta da persone estremamente intelligenti e sono assolutamente convinto che questa governance, anche imparando dai legittimi errori che si possono commettere quando si è alla prima stagione di un percorso, porterà il club a vivere un’epoca d’oro”.

Magari è prematuro chiedertelo, ma con la società avete già avuto modo di sedervi intorno ad un tavolo?

Quali sono i tuoi obiettivi in vista della prossima stagione?

“Non lo abbiamo ancora fatto in maniera ufficiale, anche se alcune considerazioni mi inducono ad essere possibilista in merito (sorride)…

Ho percepito di essere stato apprezzato da questa piazza ed io ho grande voglia di continuare a fornire un contributo fattivo in campo e di provare ad essere un valido esempio, sia comportamentale che prestazionale, per i portieri che verranno.

Dentro di me sento di avere ancora una grande voglia di giocare e Colleferro ha tutte le caratteristiche per essere il luogo giusto per farlo”.

Domenica scorsa si è ufficialmente conclusa una tribolatissima stagione per il Campionato di Eccellenza.

Da calciatore, ti è piaciuta la formula?

“Se ne può discutere all’infinito, ma le regole d’ingaggio erano chiare fin dall’inizio.

Se aderisci ad un costrutto normativo, dopo non è possibile tornare indietro.

È chiaro che la formula dell’ultima edizione del torneo ha ulteriormente impoverito la qualità di un campionato che già sotto il profilo generazionale doveva fare i conti con un difficile ricambio.

Sono onesto, tutti noi partecipiamo alla gigantesca agorà dei social ed io convintamente dico che la categoria non è più quella di una volta e su questo non nutro il benché minimo dubbio.

Tuttavia, questo format si è reso necessario per edificare in futuro qualcosa di diverso e per generare una logica di sostenibilità.

Ritengo che non si debba ragionare per numeri, ma per qualità.

Questa deve essere il nostro vate.

Nel contesto di questa stagione, molte realtà hanno avuto l’occasione di chiarire se volessero diventare dei cigni ma non ci sono riuscite, per demeriti o per sfortuna.

Parafrasando una famosa citazione cinematografica, direi che quello della stagione 2021/22 non era il format che meritavamo, ma quello di cui avevamo bisogno”.

I play-off hanno sancito che Tivoli 1919 e LVPA Frascati giocheranno in Serie D nella prossima stagione, mentre Pomezia e W3 Maccarese dovranno cercar gloria nei play-off nazionali.

Epilogo giusto, secondo te?

“Ai nastri di partenza, credo che chiunque avrebbe puntato 10 lire sul fatto che sarebbero state queste tre squadre a vincere i rispettivi tornei.

Per quanto riguarda i play-off, non nascondo che avevo grande convinzione sul fatto che la LVPA Frascati avrebbe fatto bene, dal momento che si era rodata in un campionato difficilissimo con grandi piazze e nel quale, permettetemi la digressione da portiere, ho riscontrato con enorme piacere la presenza di tanti ottimi numeri uno.

Tutto sommato, pur avendo ottimi amici in tutte e tre le squadre partecipanti, penso che la più forte fosse il Pomezia che ora, anche comprensibilmente rivedendo le immagini, sta vivendo l’epilogo con un forte senso di ingiustizia.

La W3 Maccarese è invece una società che ha vissuto una crescita evidente nel corso delle stagioni e rappresenta una splendida favola.

Concludo facendo i complimenti a tutte le squadre che hanno preso parte ai play-off ed in particolare alla Tivoli, una piazza che per il calore dei suoi tifosi meriterebbe di giocare un paio di categorie sopra rispetto a quella di cui sarà protagonista nella prossima stagione, ed al Sora perché per me è sempre stato un onore giocare in un impianto come quello bianconero”.

Da consigliere dell’Assocalciatori in quota dilettanti, a tuo giudizio su quale vettore bisognerebbe muoversi in via prioritaria per garantire un effettivo percorso riformistico al nostro movimento?

“Reputo necessario aumentare le possibilità di dialogo tra establishment e società.

Al momento percepisco una spaccatura troppo evidente tra le istanze dettate dalle nuove generazioni ed il governo del calcio.

C’è troppa distanza con quello che i club ed i calciatori chiedono e vedo le istituzioni troppo preoccupate dalla forma piuttosto che dalla sostanza.

I protagonisti del calcio vanno coinvolti, perché solo in questo si costruiscono gli strumenti efficaci per una crescita reale.

Io mi occupo di E-Sports ed in questo ambito non sempre noto un’informazione corretta.

Spesso non ci si cura neppure di chiarire di cosa si tratti…”.

Da Presidente e Fondatore della CMA ma anche da atleta con trent’anni di calcio alle spalle, qual è la tua visione dello sport in generale?

Continueremo a viverlo come abbiamo sempre fatto oppure la pandemia ne modificherà i contorni?

“Secondo me, il vero rilancio passa attraverso il ridimensionamento di questo movimento.

In tempi di crisi non deve esserci protezionismo, ma sarebbe opportuno alzare l’asticella della qualità degli investimenti.

Noi dobbiamo passare per una vera focalizzazione culturale di ciò che siamo.

Il calcio deve ridimensionarsi e pensare ai suoi principi di sostenibilità.

Del resto, un movimento che non guarda al mondo che lo circonda è destinato a sgretolarsi e questo è ciò che amaramente percepisco.

Se la famosa dialettica tra le parti non viene mai avviata, se ci si arrocca sulle proprie posizioni senza capire le altrui ragioni, il movimento soccombe.

Tutti noi dobbiamo ricordarci che il confronto è sempre edificante, è il cuore della democrazia”.