Sgherri chiama Solimina: “Caro Claudio, il Real Giulianova si ferma così…”

Sgherri chiama Solimina: “Caro Claudio, il Real Giulianova si ferma così…”

Da circa un anno si è trasferito stabilmente a Pescara.

D’altronde, la bella terra d’Abruzzo ha segnato una parte importante della sua gloriosa carriera da calciatore e viverci rappresenta in qualche modo la chiusura ideale di un cerchio.

Questione di sentimenti, insomma, anche se nella vita mai dire mai e non si esclude il ritorno.

Stefano Sgherri lo conosciamo bene.

Da attaccante è stata una delle più prolifiche punte che il nostro calcio abbia generato negli ultimi trent’anni, anche se probabilmente la sorte gli ha reso meno di quanto avrebbe meritato.

Il suo spazio nel cuore della gente comunque se lo è guadagnato non solo attraverso le sue qualità tecniche, ma forse soprattutto con quella generosità e quella tigna che in campo non lo facevano arrendere mai e con quella sincerità che nel calcio probabilmente non viene apprezzata nel modo dovuto.

Sgherri ha concluso da qualche settimana una sfortunata parentesi da allenatore nel San Salvo, formazione militante nel Campionato di Eccellenza locale, e dunque ha avuto modo di apprezzare da vicino quel Real Giulianova che domani incrocerà i tacchetti con l’UniPomezia.

L’occasione per risentirlo era insomma troppo ghiotta e l’ex centravanti della Primavera della Roma non si è tirato indietro.

Anzi, tra i tanti argomenti toccati ci ha rivelato che tra pochi mesi inaugurerà nell’amatissima Chieti una scuola calcio tutta sua.

 

Stefano, da qualche mese ti sei trasferito a Pescara.

L’Abruzzo è una terra che, in maniera quasi inevitabile, prima o poi torna nella tua vita…

“Sì, ho speso gran parte della mia carriera agonistica sulle rive dell’Adriatico, giocando tra Abruzzo, Marche e Puglia.

Questa è una terra che significa molto per me”.

Un accenno a Chieti va naturalmente fatto.

Che effetto ti fa sapere che lì c’è gente che ancora conserva le tue foto?

“Mi fa molto onore, non c’è dubbio.

Chieti per me rappresenta un ricordo indelebile ed è lì che a settembre cercherò di aprire una scuola calcio”.

Una volta, un tuo collega mi disse che tra il fare il calciatore ed il fare l’allenatore c’è la stessa differenza che intercorre tra il bere un bicchiere di vino e pasteggiare a champagne.

Concordi?

“Sì, sono due mestieri completamente diversi.

Quando giochi, il tuo impegno è minimo.

Devi seguire le direttive che ti danno e stop.

Quando passi dall’altra parte della barricata, gli impegni e le ore di lavoro si centuplicano.

Fa parte della vita però.

Chi ha fatto calcio sa che è un passaggio naturale.

Io ho speso venti anni della mia esistenza tra Serie C e Serie D ed oggi cerco di mettere a disposizione l’esperienza acquisita”.

Nel corso degli anni il calcio ha subito radicali trasformazioni.

E’ solo un fatto generazionale o c’è dell’altro?

“Mah, la nostra era una passione.

Quando ero piccolo io, avevamo solo il pallone in testa.

Si scendeva per strada e si andava in parrocchia.

Giocavamo in tutti i modi: scarpe bucate, pantaloni strappati, non aveva importanza.

A noi bastava giocare.

Quella è stata la palestra di vita mia e di tanti altri.

Oggi intorno al calcio vedo troppi interessi e troppo poche persone in grado di insegnarlo.

Fin dagli Esordienti ti dicono che la cosa più importante è vincere, ma è sbagliato.

Prendi una qualsiasi formazione Primavera e dimmi quanti italiani ci sono in squadra al giorno d’oggi.

Una volta, non era così.

Ti basti pensare che, ai tempi in cui giocavo nelle giovanili della Roma, il nostro “straniero” era Corrado Baglieri, un siciliano…”.

La tua recente avventura da tecnico del San salvo è stata contraddistinta da tanta sfortuna.

Cosa non è girato per il verso giusto, a tuo giudizio?

“Quando sono arrivato, l’ambiente era già di per sé claudicante.

Io sono andato lì, nudo e crudo, senza appoggi e fidandomi di persone che più in là ho scoperto facessero il doppio gioco.

Avevo cominciato a modificare alcune cose, ma non ho avuto tempo per invertie la rotta.

Si sa, nel calcio il primo a pagare è sempre l’allenatore.

Adesso le cose stanno lentamente migliorando e, chissà, probabilmente sarebbe accaduto lo stesso con me in panchina.

La squadra comunque lotta per ottenere un posto nei play-out e le auguro di centrare l’obiettivo”.

Quali differenze hai avuto modo di riscontrare tra il calcio laziale e quello abruzzese?

“Qui ho ritrovato il calcio che piace a me, quello in cui la domenica pranzi con la squadra alle 11 e poi giochi alle tre del pomeriggio.

Forse il Lazio è penalizzato dalla presenza delle due squadre della Capitale e, di riflesso, si è costretti a giocare di mattina.

Oltre a questo però aggiungo che in Abruzzo è tutto più sentito.

In Eccellenza quest’anno giocano club con grande tradizione alle spalle ed il seguito è diverso.

Non è raro vedere una società che investe su calciatori che arrivano da contesti geografici diversi.

Insomma, da queste parti hanno un concetto di calcio più affine al mio”.

Domani a Pomezia arriva il Real Giulianova.

Ma è davvero così forte questa squadra?

“E’ una squadra di categoria superiore ed anche se domani sarà priva di Tozzi Borsoi, un ariete vecchio stampo un po’ come ero io, di frecce ne ha parecchie.

Di solito il modulo con cui si dispongono in campo è un 3-5-2 e non concedono molto allo spettacolo, però sono molto concreti”.

Secondo te, cosa deve fare l’UniPomezia per venire a capo di un avversario simile?

“Claudio l’avrà studiata nei dettagli, quindi saprà dove e come intervenire.

Per me non dovranno dare campo al Real Giulianova, altrimenti saranno problemi.

L’UniPomezia dovrà cercare di limitare al minimo gli errori e pressarli.

Devono andare a prenderli alti, perchè in questo modo possono andare in difficoltà”.

Stefano, il calcio laziale per te è una storia chiusa o magari un giorno potrebbe riaprirsi?

“Roma rimane pur sempre la mia città e nella vita non si può mai dire.

Purtroppo nel calcio laziale ho notato meccanismi strani.

Se non fai parte di qualche cerchia ed anzi sei uno che nella vita sgomita come ho sempre fatto io, fai fatica ad importi.

Continuo comunque a seguire da lontano i campionati, leggo, m’informo.

Per carattere io le porte non le chiudo mai a prescindere”.

 

 

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